Primarie democratiche USA, piattaforme verdi dei candidati a confronto

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Primarie democratiche USA, piattaforme verdi dei candidati a confronto

2 Marzo 2020 Articoli Donald Trump Green Deal politiche energetiche stati uniti 0

Quali sono le posizioni dei candidati alle primarie democratiche statunitensi per quanto riguarda energia, ambiente e clima?

Guardando semplicemente ai loro programmi di investimenti verdi, in base a un calcolo fatto un po’ sul tovagliolino di un bar ma comunque sufficientemente indicativo, la classifica che ne esce è la seguente, con le promesse di investimento elencate in ordine di grandezza discendente.

Il Senatore Bernie Sanders propone un piano da 16.300 miliardi di dollari per affrontare il cambiamento climatico, con il Green New Deal come forza trainante della ristrutturazione energetica americana.

L’ex Vicepresidente Joe Biden vuole investire più di 5.000 miliardi di dollari, con l’obiettivo porre fine ai sussidi per le fonti fossili e raggiungere lo zero netto di emissioni di CO2 entro il 2050. Biden sostiene una carbon tax per scoraggiare il fracking, che non pensa sia realistico vietare per legge.

La Senatrice Elizabeth Warren ha presentato diversi piani per il clima per complessivi 3.000 miliardi di dollari di impegni finanziari, con l’obiettivo di promuovere tecnologie a emissioni zero e decarbonizzare l’economia americana.

La Senatrice Amy Klobuchar vuole investire 1.000 miliardi di dollari per migliorare le infrastrutture energetiche statunitensi e promuovere i posti di lavoro della “green economy”, con particolare attenzione alle aree rurali e al rafforzamento degli incentivi fiscali per la ricerca sul clima.

L’ex sindaco di New York Michael Bloomberg vuole stanziare 25 miliardi di dollari all’anno per la ricerca nelle energie pulite, per invertire le politiche anti-ambientali del Presidente Donald Trump e per vietare nuove concessioni agli operatori delle fossili sui terreni federali. Bloomberg non sostiene il Green New Deal, ritenendone il costo troppo elevato.

Per cercare di capire meglio le prospettive energetiche e climatiche americane in chiave democratica non contano però solo le promesse di investimento ma anche il consenso che i vari candidati stanno riscuotendo nelle loro campagne.

Il candidato di punta uscito dalle primarie che si sono svolte finora è sicuramente Bernie Sanders, che è anche quello che ha promesso gli interventi più radicali e massicci in tema ambientale ed energetico.

Gli ultimi sondaggi a livello nazionale, confermano il primato di Sanders col 31% delle preferenze dei votanti decisi, seguito da Biden col 18% e da Bloomberg col 12%.

Abbiamo deciso di approfondire le posizioni di Sanders, quale primo nella classifica parziale sia delle promesse di investimento che delle preferenze, e di Bloomberg, poiché si staglia su tutti gli altri non per le promesse ma per quello che ha già messo in pratica, grazie al suo patrimonio miliardario, e perché potrebbe emergere dal “Super Tuesday” della prossima settimana come il candidato moderato di punta all’interno dello schieramento democratico.

Bernie Sanders

Bernie Sanders è il candidato che più vuole spingere sull’acceleratore della transizione energetica, della decarbonizzazione e del contrasto alla crisi del clima.

Sanders intende finanziare i suoi 16,3 trilioni di dollari di investimenti verdi con canali come le sanzioni per chi inquina e le imposte sul reddito dai 20 milioni di nuovi posti di lavoro che si dovrebbero creare nell’ambito del piano.

Oltre alla massiccia quantità degli investimenti, la proposta di Sanders spicca anche per la tempistica molto rapida che prevede: il Green New Deal di Sanders, infatti, mira a decarbonizzare completamente i trasporti e la produzione di energia – cioè le due maggiori fonti di emissioni americane – entro il 2030, e non entro il 2050 come propongono altri candidati.

Gli avversari di Sanders hanno criticato il suo piano come irrealistico, ma il mese scorso il senatore del Vermont ha risposto con una lettera di 57 climatologi e ricercatori che sostengono la sua agenda.

Scendendo più nel dettaglio, Sanders esclude qualsiasi ricorso al nucleare e al gas naturale.

“Per raggiungere il nostro obiettivo di energia sostenibile al 100%, non ci affideremo a false soluzioni come il nucleare, la geoingegneria, la cattura e il sequestro del carbonio o gli inceneritori di rifiuti”, si legge nel suo piano, che prevede la sospensione della costruzione di nuove centrali nucleari nonché il rinnovo delle licenze fino a quando non si troverà una soluzione per le scorie.

Ma il nucleare fornisce attualmente più della metà dell’energia a zero emissioni negli Stati Uniti, e perdere tale contributo spingerebbe molto indietro la linea di partenza per la decarbonizzazione elettrica del paese.

Non sarà facile quindi per Sanders rinunciare al nucleare, oltre che al gas naturale, e allo stesso tempo raggiungere gli obiettivi che si è prefissato con la rapidità che si è imposto, cioè entro il 2030.

Sanders vuole poi perseguire penalmente le aziende del carbone, del petrolio e del gas naturale, assieme ai loro leader, che abbiano consapevolmente seminato disinformazione sui cambiamenti climatici.

Per far passare la sua agenda sul clima, Sanders vuole poi introdurre un’importante riforma procedurale del Congresso, che renderebbe meno efficace l’ostruzionismo al Senato, che per anni ha ostacolato il passaggio di alcune leggi.

Su tale fronte, Sanders risulta comunque abbastanza conciliante: a parte Biden, infatti, tutti gli altri contendenti democratici si sono detti favorevoli a eliminare del tutto l’ostruzionismo legislativo.

Il cambiamento climatico sarà infine un elemento centrale anche nella politica estera di Sanders.

Gli Stati Uniti sono storicamente il più grande emettitore di gas serra, ma attualmente rappresentano solo il 15% delle esalazioni globali di carbonio. Ciò significa che gli Stati Uniti devono collaborare con altri grandi emettitori come la Cina, l’India e il Brasile per attuare un’azione globale davvero efficace sul cambiamento climatico.

Secondo Sanders, ciò vuol dire che gli Stati Uniti devono guidare il mondo con l’esempio e che devono aiutare i paesi più poveri ad affrontare meglio la crisi.

“Per oltre un secolo gli Stati Uniti hanno emesso carbonio nell’atmosfera per conquistarsi una posizione economica nel mondo”, ha detto Sanders a Vox. “Pertanto, abbiamo l’enorme obbligo di aiutare le nazioni meno industrializzate a raggiungere i loro obiettivi, migliorando allo stesso tempo la qualità della vita” e usando anche il commercio come leva per guidare l’azione internazionale per il clima.

Tuttavia, rimane straordinariamente difficile coordinare l’azione globale sul cambiamento climatico. E una eventuale amministrazione Sanders dovrebbe probabilmente fare enormi sforzi diplomatici per riuscire a guidare la politica mondiale sul clima.

Michael Bloomberg

Attraverso il suo lavoro di sindaco della più grande città americana e le sue spese personali in beneficenza, Bloomberg ha alimentato riduzioni tangibili delle emissioni di gas serra negli Stati Uniti e all’estero.

Secondo Bloomberg, tali credenziali tangibili lo rendono il candidato più credibile circa la capacità di realizzare effettivamente cambiamenti efficaci sul fronte climatico.

Ma alcuni gruppi ambientalisti non sono d’accordo su tale visione e ritengono che i piani di Bloomberg non siano sufficientemente ambiziosi nell’affrontare l’aumento delle temperature medie.

“Credo che la sua affermazione sia molto soggettiva”, ha detto Ryan Schleeter, portavoce di Greenpeace USA, che ha classificato il piano climatico di Bloomberg come l’ultimo fra quelli dei contendenti presidenziali per il 2020. “Si è impegnato a fare meno degli altri candidati in gara”.

Bloomberg, l’ottava persona più ricca d’America secondo Forbes, ha utilizzato per anni la sua immensa ricchezza per sostenere una varietà di cause e istituzioni, dal Museum of Science di Boston alla Johns Hopkins University, la sua alma mater.

E il cambiamento climatico è stato uno dei punti focali dei suoi investimenti filantropici.

Con la campagna Beyond Coal del Sierra Club, che Bloomberg ha finanziato con 100 milioni di dollari della sua fortuna personale, Bloomberg ha svolto un ruolo di primo piano nello smantellare impianti alimentati con la fonte di energia più sporca in giro per il mondo.

“Abbiamo già chiuso 304 delle 530 centrali elettriche [a carbone] degli Stati Uniti e abbiamo chiuso 80 delle 200 o 300 in Europa”, ha detto Bloomberg durante la campagna in Nevada.

Secondo il New York Times, Bloomberg ha donato più di 278 milioni di dollari a varie iniziative per contrastare il cambiamento climatico.

Bloomberg ha fondato anche Beyond Carbon, una campagna da 500 milioni di dollari finalizzata alla promozione e all’elezione di leader statali e locali che si adoperino per approvare leggi e politiche che promuovano le energie pulite.

Il sito web di Bloomberg chiede il 100% di energia pulita, con il settore energetico decarbonizzato all’80% entro il 2028.

Il piano prevede la chiusura delle restanti centrali a carbone negli Stati Uniti e la fine dei nuovi impianti elettrici alimentati a gas naturale.

L’agenda climatica di Bloomberg prevede anche l’azzeramento delle emissioni dei nuovi edifici entro il 2025 e il quadruplicamento dei finanziamenti federali per la ricerca e lo sviluppo di energia pulita a 25 miliardi di dollari all’anno.

Bloomberg pensa inoltre di poter realizzare la gran parte della sua agenda senza il contributo del Congresso.

Molte delle misure da lui proposte, infatti, possono essere attuate attraverso ordini esecutivi e da autorità esistenti in base a leggi già vigenti.

Bloomberg è inoltre diventato, di fatto, l’ambasciatore americano per il clima.

Dopo il ritiro degli USA dall’accordo sul clima di Parigi, ritiro che rischia di far deragliare gli sforzi internazionali per limitare il cambiamento climatico, Bloomberg ha finanziato e guidato una coalizione di leader di città e stati, indaffarati a continuare, per quello che compete loro amministrativamente, l’impegno degli Stati Uniti nel ridurre le emissioni nell’ambito dello stesso accordo di Parigi sul clima.

Nel 2018, il Segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, ha nominato Bloomberg inviato speciale per l’azione sul clima. E Bloomberg sta anche pagando personalmente la quota statunitense dei contributi al Segretariato delle Nazioni Unite per il cambiamento climatico, per un totale di 10 milioni di dollari negli ultimi due anni.

I successi e le ambizioni di Bloomberg in materia di clima non sono però serviti a smussare le critiche degli oppositori circa i suoi precedenti in materia di libertà civili quando era sindaco di New York, le accuse di molestie sessuali nella sua azienda e l’idea stessa di un miliardario che si compra l’accesso alle elezioni a suon di campagne pubblicitarie milionarie.

Conclusioni

Da una parte insomma abbiamo un candidato, Sanders, che rischia di non riuscire a mantenere le promesse fatte, vista l’entità degli impegni presi e la rapidità con cui vorrebbe attuarli, anche alla luce del rallentamento economico mondiale che il Coronavirus potrebbe innescare e che potrebbe incidere negativamente sugli investimenti necessari per realizzare il Green New Deal.

Dall’altra, abbiamo un secondo candidato, Bloomberg, che promettendo poco, ma con un curriculum energetico-ambientale di peso, scommette che il pragmatismo e l’esperienza compenseranno una certa mancanza di carisma politico e mediatico, consentendogli di andare oltre le aspettative.

L’interrogativo per Sanders è se le sue credenziali di social-democratico in un paese profondamente sospettoso di qualunque cosa si avvicini anche solo remotamente al socialismo gli consentiranno di calamitare le preferenze di almeno una parte dell’elettorato moderatamente progressista.

Per Bloomberg, invece, l’interrogativo è come gli elettori soppeseranno le sue indubbie credenziali climatiche rispetto al resto della sua storia, fatta di politiche che di fatto hanno discriminato neri e latini, di cui Bloomberg si è scusato, ma che continuano a pesare sulla sua capacità di attirare le minoranze e una parte dell’elettorato progressista.

(Nota informativa per la trasparenza: l’autore di questo articolo ha lavorato in passato per Bloomberg News, agenzia di stampa di  Bloomberg LP, l’azienda di cui Michael Bloomberg è azionista di maggioranza e che ha fondato)

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