Perché l’obiettivo Ue sulle rinnovabili rischia di distruggere le foreste
La nuova direttiva Ue sulle fonti rinnovabili rischia di fare molto male alle foreste e al clima: da un gruppo internazionale di scienziati si rinnova l’appello a non considerare le biomasse come una fonte energetica “neutrale”, in termini di emissioni inquinanti.
In un commento pubblicato su Nature Communications, “Europe’s renewable energy directive poised to harm global forests” (testo completo allegato in basso), gli autori sostengono che l’utilizzo eccessivo di legname per produrre energia considerata “rinnovabile” dalla legislazione europea, quindi “pulita” al contrario dei combustibili fossili, finisca per incrementare la quantità netta di anidride carbonica rilasciata nell’aria.
Perché?
Conviene precisare subito un aspetto fondamentale: le biomasse possono certamente essere impiegate in modo virtuoso, ad esempio quando in agricoltura si sfruttano gli scarti e i sottoprodotti agroforestali per alimentare gli impianti a biogas (vedi anche QualEnergia.it).
Assai diverso, invece, ed è questo il punto discusso nel documento, è disboscare su vasta scala per sostituire il carbone o il gas nelle grandi centrali elettriche con una risorsa teoricamente “verde”, dimenticando però che bruciare legna o pellet può essere molto dannoso per il nostro Pianeta.
Il problema è analogo a quello affrontato nella discussione sull’uso dei bio-combustibili nei trasporti: il biodiesel ricavato dalla soia o dall’olio di palma, in particolare, inquina molto di più del gasolio di origine fossile, se si considera l’intero ciclo per la produzione e il trasporto dei diversi carburanti, che comprende ad esempio il disboscamento di vaste aree per estendere le piantagioni intensive (vedi QualEnergia.it: L’imbroglio dell’olio di palma nel biodiesel).
Tornando alla direttiva che innalza al 32% l’obiettivo per le rinnovabili in Europa al 2030, moltissimi scienziati temono che l’incremento delle biomasse nel mix elettrico sarà un boomerang per l’ambiente, accelerando quei cambiamenti climatici che la stessa direttiva punta a combattere con le fonti rinnovabili.
Difatti, si legge nel documento, utilizzare il legname come combustibile da ardere, con ogni probabilità, farà crescere le emissioni complessive di carbonio nell’atmosfera per decenni o addirittura per secoli.
Tipicamente, chiarisce lo studio, le biomasse “bruciate” in un impianto di produzione energetica emettono fino a tre volte più CO2 rispetto a gas e carbone, per ogni singolo kWh elettrico, tenendo conto delle emissioni nell’intero ciclo di vita per le varie fonti energetiche.
Peraltro, proseguono gli scienziati, i criteri di sostenibilità della direttiva Ue non possono garantire che le biomasse abbiano delle conseguenze positive per il clima.
Si potrebbe pensare che piantare cento nuovi piccoli alberi per ogni cento alberi tagliati, in modo da conservare l’estensione delle foreste, sia una soluzione sostenibile dal punto di vista ambientale.
Tuttavia non è così, avverte lo studio, perché le piante giovani catturano molta meno anidride carbonica rispetto a quelle adulte, quindi devono passare alcuni anni prima di ricostituire la piena capacità di assorbire la CO2, e questo va a cozzare contro l’urgenza di ridurre le emissioni (vedi anche QualEnergia.it: Clima, l’effetto domino porterà inevitabilmente a un “Pianeta-serra”?).
Il rischio è che il debito di carbonio (carbon debt nel testo) continui ad aumentare dopo ogni nuovo taglio di alberi, perché l’ecosistema non sarà più in grado di pareggiare la quantità di CO2 immessa nell’aria con la stessa quantità di CO2 trattenuta dalle piante (questa sarebbe la vera “neutralità carbonica”).
Senza dimenticare, si legge ancora nel documento, che per contrastare i cambiamenti climatici bisognerebbe ampliare i bacini naturali che assorbono e “sequestrano” la CO2 (carbon sink), come per l’appunto le foreste, anziché ridurli.
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