Il paracadute miliardario delle compagnie fossili
Tamburi di guerra sempre più vicini, annunciano lo showdown finale contro i combustibili fossili in Europa.
La società civile, svegliata dalle proteste di piazza innescate da Greta Thunberg e Friday for Future, e spaventata dalla valanga di danni da clima impazzito che, anno dopo anno, crescono, comincia a domandare a gran voce alla politica di passare finalmente dalle grandi dichiarazioni di principio “pro sostenibilità” ai fatti.
E la politica, in teoria, sembra ascoltare: il Green Deal for Europe, elaborato dalla nuova Commissione UE di Ursula von der Leyen, prevede il dimezzamento entro il 2030 le emissioni di CO2 continentali (invece che ridurle del 40% come previsto finora) e di azzerarle entro il 2050.
Punto centrale, almeno all’inizio, della strategia climatica, sarà l’abbandono del carbone per la produzione elettrica, a cui, si spera a ruota, seguirà anche quella del gas.
Di fronte a questo scenario ci si aspetterebbe il panico nelle stanze dirigenziali delle 103 compagnie elettriche europee, fra cui primeggiano le tedesche RWE, EPH e Uniper, la polacca PGE, la ceca CEZ e la spagnola Endesa, che ancora usano come fonte carbone e lignite.
Invece la quiete sembra regnare sovrana ai piani alti di “King Coal”, come se lo tsunami verde non stesse per travolgerle.
La calma olimpica dei “carbonieri”, certo in parte, deriverà dalle rassicurazioni su futuri annacquamenti delle norme, provenienti dalle potenti società di lobby di Bruxelles, pagate per difendere i loro interessi presso i decisori politici.
Ma come segnalano ora gli attivisti di Friend of Earth Europe (pdf), questa sospetta tranquillità si deve anche a un misconosciuto paracadute miliardario, che protegge le società energetiche da eventuali voltafaccia politici, che mettano a rischio i loro investimenti.
Il paracadute si chiama Energy Charter Treaty (ECT), ed è un accordo noto solo agli addetti ai lavori, firmato nel 1994 dai paesi UE e da alcuni confinanti, per regolare la produzione, vendita e trasmissione di elettricità fra quelle nazioni (riguarda oggi 51 paesi).
Uno dei punti più importanti dell’ECT è quello che prevede che se uno Stato permette l’installazione di centrali elettriche nel suo paese, e poi successivamente vuol modificare l’attività di quegli impianti, anche per i motivi più nobili, come proteggere ambiente o salute dei cittadini, facendo diminuire i profitti previsti, può essere citato in giudizio dal proprietario delle centrali per danni presso un tribunale internazionale privato di arbitraggio, una corte che in genere è molto favorevole al big business.
Per fare un esempio, se la ipotetica società BlackSmoke ha ottenuto il permesso nell’anno 2000 di far funzionare per 50 anni in uno Stato che ha firmato l’ECT, una centrale che brucia copertoni usati per fare elettricità, e nel 2020 il paese ospitante emana una legge che vieta di usare copertoni per quello scopo, perché il fumo ammazza migliaia di cittadini ogni anno, la BlackSmoke chiude sì la centrale, ma può anche fare causa allo Stato ospitante presso una corte di arbitraggio, chiedendo come indennizzo tutti i mancati profitti per i 30 anni di attività rimanenti della centrale: milioni o miliardi di denaro pubblico, che costituiscono la classica beffa dopo il danno (vedi anche sito Energy Charter Treaty’s Dirty Secrets).
A questo punto molti penseranno “Ok, è una possibilità teorica, ma certo una società energetica reale, vista l’emergenza climatica, si guarderà bene dal chiedere di applicare quella norma. Anche le corporation hanno un’anima…”.
Neanche per sogno, pare che non ce l’abbiano: dal 1994 sono già state intentate 139 cause da parte di società energetiche contro gli Stati che hanno firmato l’ECT, per presunti danni ricevuti ai loro profitti da nuove norme.
Molte di queste azioni legali sono rimaste segrete o sono state ignorate dai media, ma una che ha fatto clamore è quella della svedese Vattenfall, che ha chiesto 6 miliardi di euro alla Germania, per la prevista chiusura anticipata delle sue centrali nucleari nel paese, dopo Fukushima.
Un’altra ancora più clamorosa, per l’impudenza, potrebbe ora partire in Olanda. La Uniper ha minacciato i politici olandesi di citare il loro Stato per miliardi di euro in base all’ECT se oseranno approvare a dicembre la legge che prevede la fuoriuscita dal carbone entro il 2030, visto che hanno costruito una centrale di quel genere da 1 GW vicino a Rotterdam nel 2016.
Ora, viene da chiedersi perché diavolo nel 2016, un anno dopo l’Accordo di Parigi, mentre tutti già ragionavano di come fuoriuscire dal carbone, gli olandesi abbiano permesso di aprire una nuova centrale di quel tipo. Del resto erano anche recidivi: nel 2015 ne avevano inaugurata un’altra della RWE da 1,5 GW, vicino al confine con il Belgio.
Ma viene anche da chiedersi se sia mai possibile che i manager Uniper non sapessero che, di lì a pochi anni, per la nuova centrale sarebbe arrivato il semaforo rosso. Viene il sospetto che ne fossero perfettamente consapevoli e se ne sono disinteressati, sapendo di avere le spalle coperte dall’ECT: dal carbone o dalle cause legali, i profitti erano comunque garantiti.
Conferma Freek Bersch, di Friends of the Earth Olanda: “In effetti l’ECT è certamente in parte responsabile del rallentamento del programma di eliminazione del carbone olandese. La legge che dovrebbe essere approvata dal Senato de L’Aia, ha posticipato l’uscita al 2030 proprio per paura di azioni legali, come quella minacciata da Uniper”.
Insomma, il quadro si presenta chiaro: potremo abbandonare oggi il carbone e domani il gas, nella produzione elettrica, ma aspettiamoci di rischiare di dover pagare miliardi di denaro pubblico in indennizzi alle compagnie energetiche, a cui, stupidamente, abbiamo consentito di costruire centrali elettriche in questi ultimi anni, quando già si sapeva che si sarebbero dovute chiudere ben prima della fine della loro vita operativa.
E quello che ora vale per il carbone, fra pochi anni varrà per le centrali a gas, che continuano allegramente a essere installate, ma certo non potranno sopravvivere per molti decenni, in un’Europa che vuole essere a emissioni zero entro 30 anni
Anzi, vista la tranquillità con cui le compagnie petrolifere continuano ad annunciare orgogliose di aver trovato nuovi grandi giacimenti di greggio e gas, pur sapendo benissimo che non potranno essere usati, visti gli accordi climatici presi dagli Stati, non sarà che una pioggia di richieste di compensazioni pubbliche, arriverà presto anche da quella direzione?
Non si può allora fare nulla, per sottrarci a questo capestro?
«In realtà l’ECT è sotto revisione fin dal 2017. Firmato in tempi ben diversi dagli attuali, oggi ci si è resi conto che è del tutto inadeguato a regolare il settore, in un periodo in cui le tematiche climatiche e ambientali sono le più importanti, e devono primeggiare anche sui profitti delle società energetiche. Così com’è, per esempio, l’ECT è incompatibile con gli accordi di Parigi», spiega Paul de Clerck, coordinatore economia e giustizia dei Friends of the Earth Europe.
Ma rivederlo non sarà affatto facile, le negoziazioni si trascinano da anni, e non sembrano fare grandi progressi.
«È evidente che la lobby dell’energia fossile a Bruxelles sta facendo di tutto per mantenere lo status quo il più a lungo possibile. Forse gli Stati dovrebbero semplicemente denunciare il trattato e uscirne», conclude de Clerck.
Sorprendentemente l’unico Stato Ue che lo ha fatto finora è l’Italia, nel 2015.
La ragione ufficiale è stata che costava troppo rimanervi dentro, 370.000 euro di iscrizione l’anno… e non ci abbiamo certo ripianato il deficit di bilancio.
Nella realtà, secondo alcuni osservatori, il governo Renzi uscì dall’ECT per schivare la valanga di ricorsi che si annunciavano da parte di operatori stranieri del solare, dopo l’improvvisa riforma e riduzione del sistema degli aiuti al fotovoltaico, con il decreto Spalma Incentivi.
Insomma, siamo usciti dall’ECT per le ragioni sbagliate, ma chissà che oggi questo non si riveli una mossa addirittura lungimirante, un esempio che il resto dell’Europa dovrebbe imitare al più presto, se vuol fare sul serio in campo climatico, evitando al tempo stesso di scaricare sui cittadini gli errori strategici compiuti dall’industria dell’energia.
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