Cop24 e lo scontro sul rapporto speciale dell’Ipcc

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Cop24 e lo scontro sul rapporto speciale dell’Ipcc

11 Dicembre 2018 Articoli cop 24 IPCC negoziati clima 0

L’articolo è stato pubblicato su Climalteranti.it – Testo di Stefano Caserini, con contributi di Sylvie Coyaud, Mario Grosso, Cluadio della Volpe e Luca Lombroso.

Nel pomeriggio di sabato 8 dicembre 2018 c’è stato alla COP24, in corso fino al 14 dicembre a Katowice, uno di quei momenti in cui i nodi vengono al pettine, in cui si capisce come il negoziato sul clima sia ormai arrivato ad un punto critico.

Nella grande sala “Śląsk” si stava svolgendo la plenaria di chiusura della 49° riunione del SBSTA (Subsidiary Body for Scientific and Technological Advice), l’Organo sussidiario di consulenza scientifica e tecnica dell’UNFCCC. Dopo aver speditamente adottato numerosi documenti, relativi anche a parti importanti dell’implementazione dell’Accordo di Parigi (sull’adattamento, sul “loss and damage”, sull’agricoltura, sul Centro per il trasferimento tecnologico), è arrivato verso le 17 il momento di approvare il sesto punto in agenda, il documento su “Research and systematic observation” preparato durante la settimana.

Si tratta di un documento di tre pagine, in cui nei primi dei 14 paragrafi il SBSTA saluta come benvenuti (“welcomed” in termini anglosassoni) una serie di dichiarazioni, lavori e documenti scientifici, fra cui:

Il punto critico, oggetto di uno scontro già durante la settimana e ben presente ai delegati, si trovava al paragrafo 11, ed era la frase “The SBSTA noted the IPCC Special Report on Global Warming of 1.5 °C”, ossia “L’SBSTA ha preso atto del Rapporto Speciale dell’IPCC sul riscaldamento globale di 1,5 °C”.

L’oggetto del contendere è stata la differenza fra scrivere “noted” (ha preso nota, ha preso atto) e “welcomed” (ha dato il benvenuto, ha apprezzato). A prima vista la cosa sembra un problema terminologico, ma non lo è affatto; la discussione durata più di due ore su questo punto è invece carica di significato.

L’importanza del rapporto IPCC su 1,5 °C

La contrapposizione che si è svolta segna innanzitutto il grande successo del lavoro dell’IPCC, che ha centrato l’obiettivo: ha prodotto un rapporto chiaro, che mostra (pur senza essere prescrittivo) con chiarezza quali sono le conseguenze di un riscaldamento globale di più di 1,5 °C (“ogni decimo di grado è importante…”), e cosa bisognerebbe fare se si volesse limitare il riscaldamento globale a questo ambizioso livello: riduzioni drastiche delle emissioni, emissioni a zero entro 30 anni, persino rimuovere CO2 dall’atmosfera, rilanciare i contributi nazionali di riduzione delle emissioni.

Se si accetta (“welcome”) il rapporto, si è con le spalle al muro. Non si può continuare ad emettere gas serra a questi ritmi, il carbone ha gli anni contati, petrolio e gas devono durare solo qualche paio di decenni in più ma anche loro devono essere ridotti da dopodomani.

In tutta la prima settimana della COP il rapporto IPCC è stato particolarmente presente nella Conferenza, e non solo per le molte presentazioni organizzate dall’IPCC stesso. In tantissimi interventi di delegati, relatori in side event o in conferenze stampa è risuonato molto spesso l’IPCC e il suo Rapporto su 1,5 °C. Insomma, il rapporto giusto al momento giusto.

Gli interessi dei combustibili fossili

Come si può ascoltare nel webcast IPCC (qui, selezionare poi a destra 16.08.07, 6. Research and systematic observation, cliccare sul video – selezionare Inglese per chi non conosce il francese) dopo l’introduzione del Chair la richiesta di emendamento per sostituire “noted” con “welcomed” è arrivata dal rappresentante delle Maldive, in rappresentanza dei paesi OASIS (19 piccoli Stati insulari): Proposta appoggiata dai rappresentanti dell’ILAC (8 stati dell’Alliance of Latin America and the Caribbean), LDCs (Least Developed Countries, 47 Paesi più poveri), dell’Environmental Integrity Group (Messico, Liechtenstein, Monaco, Repubblica di Corea, Svizzera e Georgia), e in più Norvegia, Giamaica, Nepal, Unione Europea, Canada, Nuova Zelanda, Ghana, Sudafrica, Tanzania, Zambia e Argentina.

La contrarietà è stata espressa solo da Arabia Saudita, Kuwait, Federazione Russa e Stati Uniti; con quest’ultimi (47.10) che hanno aggiunto che “L’accettazione del Sommario dei decisori politici del rapporto IPCC non implica che gli Stati Uniti l’abbiano approvato tutto il rapporto e i suoi contenuti specifici”. Solo 4 paesi, e non è un caso che si tratti di Paesi in cui l’industria e gli interessi economici legati ai combustibili fossili giocano un ruolo rilevante.

Il rappresentante dell’Arabia Saudita (minuto 56) ha fatto capire come la parola “noted” invece di “welcomed” era un compromesso nell’ambito di un negoziato in cui erano state prese altre decisioni, e che se si ridiscuteva questa parola, si sarebbe ridiscusso tutto. Ha inoltre dichiarato in modo sornione e velatamente minaccioso “se discutiamo su una parola, non oso immaginare cosa succederà quando andremo nella sostanza vera del lavoro sull’implementazione dell’Accordo di Parigi che sarà da adottare la prossima settimana…”.

Il dibattito è stato teso con il Chair visibilmente in difficoltà e alla ricerca di una via d’uscita. Un’altra rappresentante dei piccoli stati insulari ha definito ridicolo il fatto che l’UNFCCC, che ha richiesto il rapporto, lo debba poi riconoscere in modo neutro e non favorevole; ricevendo un applauso significativo sugli schieramenti in campo.

Dopo un’ora e 10 minuti di discussione in un gruppo ristretto, al ritorno in Plenaria, dopo aver tentato una mediazione in cui si cambiava un po’ la frase (senza cambiare la sostanza), il Chair ha preso atto della mancanza di consenso, e secondo le regole dell’IPCC questo ha portato a non approvare il documento su “Research and systematic observation” proposto.

Molti paesi sono quindi intervenuti per mettere agli atti della seduta il loro disappunto, l’importanza del lavoro dell’IPCC e la loro piena accettazione dell’ultimo suo Rapporto. Ma il recepimento formale da parte dell’intero UNFCCC dei risultati della ricerca scientifica sul clima è rimandata ad una prossima riunione SBSTA (a meno di colpi di scena nella prossima settimana in cui si incontreranno i rappresentanti politici).

In conclusione, i Paesi che non vogliono agire contro il cambiamento climatico sono pochi, rappresentano meno del 7% della popolazione mondiale; sono sempre più isolati e costretti a combattere sulle parole con cui si accettano i risultati della scienza del clima. Risultati che ormai sono chiari e mostrano che non c’è altro tempo da perdere.

La prossima settimana si vedrà se questa schermaglia lessicale sarà stata il sintomo di una frattura più grave su punti più sostanziali dell’Accordo di Parigi, o se sarà ricordata come uno degli ultimi tentativi di negare l’evidenza.

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