Carbone sardo: il premier Conte non vuole rimandare il phase out del 2025

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Carbone sardo: il premier Conte non vuole rimandare il phase out del 2025

3 Ottobre 2019 Articoli carbone italia politiche energetiche sardegna uscire dal carbone 0

“Non vedo con favore il differimento del termine della decarbonizzazione, il cui programma è fissato al 2025 e non ho preso assolutamente impegni per differire questa scadenza”.

Lo ha detto ieri il primo ministro Giuseppe Conte, contrastando di fatto la posizione della Giunta sarda di Christian Solinas che vorrebbe rimandare al 2030 il phase out delle centrali a carbone.

L’uscita dal carbone in Sardegna riguarda la chiusura (o la ricoversione) delle centrali di Portovesme e di Fiumesanto entro i prossimi 7 anni.

Questa intenzione il governatore sardo l’ha già espressa anche al Ministero dello Sviluppo economico. Addirittura il 6 febbraio scorso l’esecutivo sardo ha fatto ricorso davanti al Tribunale Amministrativo Regionale contro il decreto del Direttore Generale per le Valutazioni e le Autorizzazioni Ambientali del Ministero dell’Ambiente che vuole appunto iniziare ad attuare in tempi rapidi lo scenario di “phase out completo” dall’impiego del carbone per la produzione di energia termoelettrica, come indicato anche dalla SEN e dal recente Piano Clima Energia.

“Questo è un governo verde che nel suo Dna ha programmato un green new deal”, ha spiegato Conte. Abbiamo un piano Energia e clima e c’è un chiaro progetto di decarbonizzazione per la transizione energetica”. Secondo il premier transizione per la Sardegna “vuol dire favorire la realizzazione dell’elettrodotto con la Sicilia e investire sulle energie rinnovabili e, se è il caso, creare piccoli depositi di gas naturale liquefatto a supporto delle zone industriali”.

A parte le difficoltà economiche e logistiche dell’elettrodotto dalla Sicilia (molto più agevole è l’ammodernamento del triterminale continente-Corsica- Sardegna), speriamo che non venga considerato un fattore di transizione anche il gas, e in particolare l’inutile infrastruttura della dorsale gas, parte preponderante del progetto di metanizzazione dell’isola, così agognata da tutti gli ultimi governi sardi e dai sindacati locali.

Ieri Solinas ha chiesto che il phase out del carbone avvenga “in maniera ordinata e dando certezze per gli investitori nella prospettiva che anche la Sardegna aspira ad avere una autosufficienza e una sovranità energetica, verde e rinnovabile”.

Tornando alle due centrali a carbone in Sardegna, ricordiamo che quella di Portovesme, sita nel Sulcis, attualmente gestita dall’Enel, ha una potenza di 240 MW. L’altra, quella di Fiumesanto (nella foto), nel nord della Sardegna, di EP Produzione, ha una potenza di 600 MW. Entrambe forniscono ogni anno poco meno di 5 TWh.

Ma va detto che i consumi elettrici annuali dell’isola ammontano circa 9 TWh e circa 4 TWh sono già producibili da eolico (1.072 MW di potenza installata), fotovoltaico (795 MW) e idroelettrico (566 MW). E la Sardegna ha per giunta un surplus di generazione elettrica regionale: ne esporta infatti almeno 4 TWh ogni anno.

Senza entrare nel discorso stoccaggi (anche stagionali, come i pompaggi), per dare un’idea teorica di potenza rinnovabili aggiuntiva necessaria all’isola stimiamo che basterebbero altri 2000-2200 MW di fotovoltaico (su tetti e a terra) e altri 950-1000 MW di eolico per superare abbondantemente l’attuale consumo elettrico.

Riguardo al FV, solo per fare un altro esempio, 2000 MW a terra, con le moderne tecnologie (tracker monoassiali o biassiali) andrebbero ad occupare meno dello 0,1% del territorio, con scarsissimo impatto sulla produzione agricola (vedi anche QualEnergia.it). Ma tante altre sono le tecnologie rinnovabili da adottare per una generazione distribuita e pulita.

La preoccupazione dell’esecutivo sardo, condivisa dai sindacati, riguarda l’impatto economico che l’uscita dal carbone potrebbe avere sui lavoratori e sull’indotto della regione.

Prima di tutto alla Regione servirebbe un diverso modello di sviluppo (ancora con l’industria pesante?) e, inoltre, sono tanti gli studi che spiegano come sia possibile uscire dal carbone conservando la piena “adeguatezza” del sistema elettrico, in termini di potenza installata e capacità di rispondere alle esigenze della rete (copertura dei picchi di consumo, bilanciamento della domanda e così via).

Un’analisi del Joint Research Centre (JRC) della Commissione europea ha indagato solo il potenziale fotovoltaico nelle regioni Ue “carbonifere” (e la Sardegna è tra queste) che intendono sviluppare progetti per trasformare le loro economie oggi basate essenzialmente sulle attività minerarie e sulla produzione di elettricità con carbone/lignite. E questo potenziale è veramente enorme.

Insomma, fuori dal carbone e nessuna sostituzione massiva con il gas è possibile. Ma bisogna andare rapidi e coinvolgere la popolazione perché questo diventi un progetto di tutti.

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